Storia di una vittima dei tifosi

Moacir Barbosa Nascimento è stato uno dei più forti portieri brasiliani di tutti i tempi. La sua carriera è stata costellata di successi: ha vinto sei campionati nazionali e una Coppa dei Campioni del Sudamerica con il Vasco Da Gama. Con la nazionale ha vinto la Coppa America nel 1949. L'anno dopo, ha difeso la porta del Brasile nel Mondiale giocato in casa dai verdeoro (che in realtà allora giocavano con la divisa bianca). Barbosa è stato uno dei componenti di una squadra fortissima, per tutti allora destinata a vincere la competizione: oltre a lui ci sono campioni come Jair, Zizinho o il centravanti Ademir
Il Brasile giunge sino in finale e tutti lo considerano già il vincitore della Coppa del Mondo, per la prima volta nella sua storia. Allo stadio Maracanà, davanti a duecentomila spettatori già in festa sicuri del successo, affronta l'Uruguay. La profezia sembra confermarsi quando, al primo minuto della ripresa, Friaça, l'ala destra, con un preciso diagonale batte Maspoli, il portiere uruguagio. Ma la Celeste non si arrende e Schiaffino, talentuoso regista, trova il pareggio. Il risultato però è ancora a favore dei brasiliani, perché secondo il regolamento in caso di pareggio la vittoria verrà assegnata ai padroni di casa. Ma quando mancano dieci minuti alla fine della partita, Ghigghia, sfruttando un'uscita sbagliata di Barbosa, segna la rete del vantaggio per l'Uruguay. Sul Maracanà cala il gelo. L'assedio dei minuti finali nella metà campo di Schiaffino e compagni è inutile. L'Urugay è Campione del Mondo: il suo trionfo è così inaspettato che il presidente della FIFA Jules Rimet dichiarerà di non essersi preparato un discorso nel caso di vittoria degli uruguaiani. Per i brasiliani è un dramma: molti che avevano scommesso somme ingenti sulla vittoria della Seleçao si suicidano o muoiono per arresto cardiaco; il governo decide di dichiarare tre giorni di lutto nazionale. La rabbia dei tifosi delusi si riversa su alcuni giocatori e sull'allenatore, minacciato di morte. Ma il più colpito è Barbosa; egli diventa per tutti il capro espiatorio del Maracanazo (come verrà chiamata la disfatta nella finale del '50) per l'errore che è costato il 2-1 dell'Uruguay, nonostante sia stato eletto miglior portiere del torneo e abbia contribuito a portare la sua squadra in finale. Ma il rancore contro di lui non si placa. Anni più tardi il portiere racconterà: "Fu una sera degli anni ottanta in un mercato. Richiamò la mia attenzione una signora che mi indicava mentre diceva a voce alta al suo bambino: 'Guarda figlio, quello è l'uomo che ha fatto piangere tutto il Brasile'". 
Egli è considerato un traditore e il simbolo della sconfitta, colui su cui scaricare tutte le responsabilità. Passano i giorni, i mesi, gli anni, ma la rabbia contro di lui rimane. Nel 1993 gli viene impedito di incontrare i giocatori del Brasile perché accusato di portare sfortuna. L'ostracismo dei suoi connazionali lo conducono alla depressione. "La sentenza più pesante in Brasile" commenterà amaramente "è trent'anni, ma la mia prigionia ne è durata cinquanta".
Si tratta di una storia che deve far riflettere, ancora oggi nel mondo del calcio vengono proiettate le peggiori pulsioni ed episodi di violenza, non solo fisica ma anche psicologica (quest'ultima spesso sottovalutata) non mancano. La stupidità di molti tifosi, a 67 anni dal Maracanazo, continua ad inquinare questo sport.


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