Calcio, tra amore e odio

Il calcio è lo sport più bello perché è nello stesso tempo il più semplice e il più complesso.
Il più semplice perché chiunque può giocarci, non sono necessarie costose attrezzature, basta una palla e per le porte ci si arrangia. Non c'è nulla di più basilare, per un bambino, che correre dietro a una palla. Eppure, è anche il più complesso e la sua complessità deriva proprio da questa semplicità. Il calcio, infatti, consente una quantità e una combinazione di azioni di gioco pressoché infinita. In nessun altro sport si ricorre a tutto quanto il corpo per giocare (comprese le braccia, per i portieri). Il calcio è forse l'unico sport nel quale si usa anche la testa, ma anche gambe, petto, spalle e ovviamente piedi, ma ogni parte dei piedi, dorso, pianta, piatto, esterno, dita, tacco. Non ci sono limiti di spazio, ogni giocatore può occupare qualsiasi zona del campo (non avviene, ad esempio, nella pallavolo o nel tennis, ma avviene anche nella pallacanestro e in altri sport). Questa essenzialità di prescrizioni del calcio, è la ragione della sua complessità. Ci vuole infatti un gran lavoro, fisico e mentale, per mettere ordine nell'anarchia originaria di questo gioco ed è per questo che contano tanto le tattiche. È anche questo il motivo per cui far rispettare le regole è così difficile, ed è forse l'unico gioco al mondo a presentare un simile problema. Data la varietà pressoché infinita di "mosse" possibili per ogni giocatore, e per ogni squadra nel suo complesso, risulta di estrema difficoltà applicare il regolamento. A causa dell'imprevedibilità delle situazioni che possono crearsi, due o più regole possono confliggere tra di loro, per quanto la FIFA si sforzi di far chiarezza e per quante moviole si possano rivedere; quella spinta è sufficiente a provocare un fallo? Il tocco di mano è volontario? Il fallo è da espulsione?
È proprio una simile complessità nella semplicità che apre lo spazio alle ambiguità e in questa ambiguità strutturale del calcio si inseriscono i sospetti, i rancori, le accuse. L'interpretabilità del regolamento (un'interpretabilità che è connaturata all'essenza del calcio e non alle regole specifiche) consente a ciascuno di vedere in un episodio ciò che vuole vedere e di proiettarvi i propri desideri. Molto più accettabile, per molti tifosi, credere di perdere per l'incapacità dell'arbitro piuttosto che per la forza degli avversari! Ma se questi avversari vincono spesso allora l'incapacità deve diventare malafede e complotto, per consentire di giustificare i difetti della squadra del cuore, ma soprattutto per evitare di riconoscere il valore dell'avversario, che è il vero tabù dei tifosi di calcio.
L'invidia, unita all'inettitudine nel capire le partite (perché il calcio è, appunto, un gioco complesso e difficile da capire) conduce a convinzioni e pregiudizi radicati. Talmente radicati che in alcuni casi possono condurre a sentenze di tribunale e così del calcio smettono di occuparsi dirigenti sportivi, allenatori e calciatori, che, con tutti i loro difetti, almeno lo capiscono, e cominciano a occuparsene giudici e avvocati, che lo capiscono poco, ma soprattutto giornalisti, che lo capiscono ancora meno. Ed ecco un gioco bellissimo rovinato dalla nostra meschinità e dalla nostra ottusità! Ed ecco il fascino tramutarsi in repulsione!
Quello che io vorrei fare, in questo piccolo spazio, è cercare, con umiltà, di restituire al calcio il suo fascino originale, quello da cui è attratto il bambino che insegue un pallone, e che in questo gesto basico intravede nuovi mondi sconosciuti; di esplorarne il lato migliore, quello che concerne le emozioni e l'intelligenza che sono coinvolte, tralasciando il più possibile rancori, interessi, meschinità, o almeno tentando di isolarli e impedendo a essi di nuocere e di rovinare uno spettacolo grandioso.

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